Salve a tutti.
E’ tanto che volevo scrivere ma non ho mai avuto tempo. Uffa.
Voglio dire la mia su questo in un tentativo di stigmatizzare i due profili che chiamerò Tipo B e tipo K.
Ovvio, tipo B per quelli della moto da bar, tipo K in onore di questo forum dove scrivo, ovvero per quelli che intendono la moto in un moto diverso, che ovviamente non è limitato alla Ktm.
Incominciamo.
Tipo B: non mi soffermo sulla fenomenologia è già stata abbozzata qua. Voglio provare ad andare nel profondo, nel corpo vivo e pulsante della questione e NON sulla descrizione di questo o quest’altro aspetto.
Detto in due parole, a mio avviso,
chi appartiene al tipo B usa, vive la moto come uno strumento sociale. Punto. Il resto segue.
Non è interessato nelle caratteristiche della moto in se, ma quello che lui cerca è stimolare sentimenti di ammirazione, invidia e stima presso il gruppo cui appartiene – composto di uomini e donne – affinché questo generi un consenso, un’approvazione e quindi un riconoscimento del proprio valore all’interno del gruppo. Valore che, grazie a questa massa di emozioni, tende a salire tanto più questi sono intensi. La moto è quindi solo un espediente temporaneo, domani sarà sostituito da altro, che serve quasi esclusivamente a questa (effimera?) scalata, a questo tentativo di ascesa che si estrinseca esclusivamente in relazione al proprio gruppo di riferimento.
Giusto o sbagliato? Non mi esprimo. Voglio stare al di la del bene e del male.
Funziona? Vediamo dopo.
Il rapporto che il tipo K instaura con la moto è del tutto diverso. E’ molto più articolato e interattivo e oserei dire, intimo.
Cerco di definirlo, anche se mi rendo conto è più complesso del tipo B e non son certo di non riuscire a circoscriverlo entro una serie di concetti come ho fatto prima tanto è multiforme e caleidoscopico. E per quanto mi sforzi di chiudere il cerchio, qualcosa rimane fuori di insoluto, di inspiegato, di insondabile. Ma siamo umani e ci dobbiamo contentare della finitezza e delle poche cose che possiamo capire. Il mare magnum è e rimane, inesplorabile.
Ritengo che il processo del tipo K sia determinato da un desiderio di “pienezza”, di “completezza” che risiede nella personalità di chi lo prova e che incessantemente spinge verso una ricerca di soluzione.Mi spiego.
Il tipo K sente, percepisce, intuisce una certa “mancanza”, una deficienza di se stesso e del riflesso di questo nel mondo. Sente che non è tutto qua, ma c’è dell’altro che gli sfugge. Sente la finitezza, la pochezza del quotidiano, castrante.
Questa mancanza mi pare essere riferibile a valori assoluti che lui percepisce relativi e incompiuti e che appartengono al genere di Potenza, Forza, Libertà e da questi elaborati socialmente in Armonia, Simmetria e Giustizia con se stessi, gli altri e il mondo.
Per dirla breve, qualche modo si sente depositario di queste istanze ma che non riesce a esprimere e a rendere palesi e operanti all’interno di se stesso e nei rapporti con gli e con il mondo che lo circonda. Sa che con le sue sole forze il tutto rimarrà inespresso.
Cosa fare quindi? Estroflettere tali valori in un mezzo meccanico deputato a incarnarne la purezza e la pienezza, priva di compromessi sembra essere una soluzione. Ma questa incarnazione è un processo dinamico, non statico, e si pone in essere solo ed esclusivamente se pure lui, come essere umano, è coinvolto in questa dinamica. L’acciaio sferragliante in se non porterebbe a nulla, ma in mano ad un buon conduttore può esprimere e sviluppare le dinamiche che lui va cercando, riattivando potenzialità sopite, via via che il rapporto si stringe, la confidenza aumenta, la distanza tra ferro e carne, tra desiderio in potenze e desiderio in atto, diminuisce. Ovvio non si annulla mai, ma si avvicinano asintoticamente in un abbraccio ideale separato da una bolla di sapone.
Il mezzo quindi è uno strumento di scoperta di se e di accrescimento mutuo e dinamico a mano a mano che la sincronia si accresce. Il tipo K è sicuramente MOLTO interessato alle caratteristiche tecniche perché pensa che in esse possa rispecchiarsi, in qualche modo e trovare in esse parti di se stesso.
Trova colà quello che non trova in se, lo dinamizza, lo amplifica e alla fine – se il processo riesce - lo recupera e lo assume totalmente. In questa dinamica proattiva e non sterile si situa, a mio avviso, il modo di K intendere la moto. In questa delega temporanea, rivitalizzazione e successiva riappropriazione di un qualcosa che ci spetta, che sentiamo nostro e fondante.Giusto? Sbagliato? Non sta a me dirlo
Funziona? Si e no.
Come l’altra dinamica, quella B, ha i suoi pro e contro.
Il modus B, per poterti tenere sempre a galla, impone una lotta continua con gli altri nello sfoggio di mezzi e strumenti via via sempre più prestigiosi. E questo alla lunga, sfianca. Inoltre con gli anni, la sensazione di essere circondato da “amici” per quello che hai e non per quello che sei, si insinua profondamente e duole come un nervo sciatico. Se l’avere è transeunte, l’essere in se è eterno e la nostra valenza vorremmo si fondasse su quest’ultimo. La delega qua non viene riassorbita e il potere, pompato all’esterno, non torna indietro.
Il modus K traballa sul versante sociale. Per quanto geniale possa essere la scoperta della Relatività, la felicità dello scopritore non può non passare dalla condivisione e dal riconoscimento sociale (per quanto schivo possa essere). Non è per questo che si fanno le cose, ma nessuno (o quasi) vive felice in una grotta o in un convento di clausura a meditare da solo.
Questa mancanza di riflessi sociali che la dinamica K porta con se nel suo dinamismo intimo ed esclusivo, di pompaggio, accrescimento e recupero, genera un curioso fenomeno.
Il mondo K sente la necessità di schernirsi, di distanziarsi, di marcare il territorio rispetto al mondo B. Ci tiene a esprimere in ogni modo la netta differenza. (Al contrario, il mondo B vede il mondo K con sufficienza e ironia ritenendo tutti sfigati e\o nerd. – ovvio qua estremizzo tutto, quasi una caricatura, per esaltare le differenze e mostrarvele. Ma la realtà è sempre più sfumata e sfuggente).
Perché i K sono “quasi” ossessionati dai B e sentono il bisogno di differenziarsi e di tenersi a distanza?
La mia valutazione è che pure il K sente l’attrattiva per il consenso sociale che B genera facilmente e quindi pure in lui risiede da qualche una piccola invidia che però non può assumere su di se e deve quindi respingerla al mittente. Deve tenerla lontano più che può perché questo mina il suo stato di essere K e inibisce la dinamica sopradescritta.
Può essere che, in fondo ad ogni K ci sia un nocciolo B che ambisce ad uscire dalle proprie finitezze e vuole rivolgersi verso gli altri e sentirsi, pure lui, amato e apprezzato.
Può essere che l’orrore del “può accompagnare solo*” che ogni K sente dentro di se è come quello che si prova per il Lupo. Troppo simile a noi per non averne paura.
Saluti Tancredi
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