Sono in auto, e devo raggiungere un certo posto ma non ho copertura, quindi niente navigatore, niente aiuti.
Inizio ad incazzarmi perche ho dato per scontato che tutto funzionasse e invece sono qua nel traffico e non so se girare a dx, a sx o andare dritto.
Sento la rabbia montare forte perchè devo chiedere a qualcuno altrimenti non arrivo. Ma questa rabbia davvero mi manda ai matti : non ho il controllo della situazione e il fatto di dovermi appoggiare ad un terzo mi rende furioso.
E percepisco questa furia montare dentro di me come una marea che si alza travolgendo ogni cosa.
Ma d’uno tratto mi viene un pensiero. PERCHE? Perche mi sto innervosendo cosi tanto per una sciocchezza alla fin fine? E il fatto di perceperire da un lato la rabbia che avanza e dall’altro l’assurdita’ della cosa non fa che dare ossigeno al fuoco e ingigantire ancor il mio nervosismo.
Capisco che c’e’ all’opera un che di irrazionale che sfuggendo alla mia attenzione, lavora nel torbido. Non posso spiegare altrimenti.
Non mi piace percepire di essere preda di qualcosa senza sapere cosa essa sia.
Mi guardo attorno: la mia auto e’ strapiena di gadget, accessori, dispositivi per vezzeggiarmi, per farmi stare bene ed e’ incredibile che non ci abbia mai fatto caso. La quantita’ di fini accorgimenti, di carezze, di minute coccole che mi circonda quasi stordendomi è stupefacente. Stereo, dab, android auto, sedili ergonomici super regolabili, riscaldabili, ventilati, volante riscaldato, climatizzatore automatico separato, sbrinatore automatico anche sul parabrezza, fari automatici, vari adas.. potrei andare avanti per molto.
Mi rendo conto che sono spinto dal sistema, dalla publicità, dalla pervasiva presenza di delicati accorgimenti che sembrano necessari, a rifugiarmi in questo luogo dove io ed i miei desideri sono al centro di tutto, e tutto si piega al mio volere e dove tutto e’ al mio servizio - docile e ubbidiente-.
Ora lo vedo chiaramente: non sono in un mezzo di trasporto: sono in una culla.
Ma una culla che mi forza a regredire ad uno stato passato dove il mondo non era presente al mio orizzonte ma solo me stesso e i miei desideri che chiedevano di essere soddisfatti, non importa come basta che sia fatto.
Mi vengono in mente varie pubblicità di auto dove si fa vedere un ambiente esterno che si trasforma al passaggio dell’auto: ecco è questo il paradigma dove sono sospinto. Un mondo non percepito con la sua unicità e terzieta rispetto a me stesso, ma ai miei voleri piegato e assoggettato. Questo sono invitato a credere, questo sono invitato a desiderare. Il progresso tecnico mi devia inesorabimente verso un regresso emotivo e le tappe faticamente conquistate dove ogni piccolo successo sul mondo era una gioia, sembrano inutili, futili, puerili di fronte a tanta superiorita tecnica.
Penso al bambino felice perchè per la prima volta e’ riuscito ad afferrare il bicchiere e portarselo alla bocca per bere senza versare niente a terrra. E’ un operazione difficile e richiede percezione tridimensionale dello spazio e del proprio corpo e una padronanza dei meccanismi motori, sensoriali, propriocettivi immersi in un ambiente variegato e cangiante.
Adesso, qua in auto, sono invitato a provare fastidio per una operazione del genere e mi viene chiesto - in via ideale- di preferire un gadget che mi offre da bere in automatico, senza muovere un muscolo, ogni volta che ne ho voglia, magari con un coctail diverso via via che passa la giornata, memorizzato secondo i miei gusti nel sistema.
Mi viene chiesto di ridimensionare il mio stato di essere umano delegando capacità e competenze ad una macchina -in senso lato- affinchè tutto quello che voglio sia immediatamente disponibile, senza sforzo, pret a consumer. Al limite ogni mio desiderio verra’ un giorno soddisfatto ancor prima che questo si sia materializzato e un sistema dedicato leggerà i miei pensieri e lo stato del mio corpo per prevedere il prossimo intervento.
Quel giorno non saro’ piu in una culla, dove almeno devo urlare per farmi portare da mangiare o farmi coprire perche ho freddo, ma in un utero collegato con un cordone ombellicale, al riparo da fame, freddo e altro.
Quando arriveremo a tanto, mi rendero’ conto che il cordone ombellicale e’ una fune che mi lega e mi diminuisce oppure bacerò e benedirò le mie catene e sgobberò sempre di piu per ottenere sempre nuovi upgrades?
Percepisco adesso il desiderio di potenza assoluto e di dominio totale sul mondo che vengo spinto a cercare all’interno del mio abitacolo e che mi che fa ritenere di essere al di sopra di tutto e di tutti. Ed il semplice fatto di dover chiedere una informazione, che in effetti e’ un riconoscere una “potenza” nell’altro che tu non hai, una “dipendenza” verso gli altri, un sottomettersi e un piegarsi al fatto di non essere autosofficiente (me + i miei gadget), mi genera ansia.
In un mondo artificiale creato perche tu ne sia il re e il padrone assoluto (per lo meno quando sono chiuso qua dentro), il dover ammettere che il tutto e’ irreale e senza gli altri sono meno di nulla, mi abbatte e mi porta ad un senso di frustrazione.
Il mondo non si piega al mio passaggio, non cambia di colore, non mi sorride, non si volta estasiato a guardarmi. Il mondo e’ la indifferente e se mi ci devo muovere e vivere devo apparecchiarmi in tal senso e sforzarmi di acquisire pratica e intelligenze (formale, motoria, relazionale ed affettiva) per una efficace ed soddisfacente interazione.
E soprattutto non dovrei sentirmi appagato nel delegare a mezzi e dispositivi esterni queste “intelligenze” affinchè questi si interfaccino col mondo e si adoperino al mio posto.
Non dovrei barattare il mio stato di uomo con quello di un feto.
Torno in me. Ho fatto 10 km sono fuori citta. Non so nemmeno dove sono, ma non importa.
Mi fermo, sento che la testa mi gira devo riprendermi.
Fossi stato in moto avrei dovuto far BENE E COSTANTE attenzione ad ogni minuta particolarita’ del mondo, della strada, del tempo, delle mie capacita di guida, dello stato della moto, degli altri e non mi sarei nemmeno un istante dimenticato che il mondo e’ la - distante e indifferente - ed io devo sforzarmi di capirlo, interpretarlo e successivamente adattarmici per trarne soddisfazione e capacita di azione.
Avrei saputo che in ogni anfratto e’ insito un pericolo ed una sfida ma pure un immensa gratificazione quando superati con successo. Avrei saputo che il mondo, benchè distante e forse cattivo, lo posso in qualche modo domare (entro certi limiti) con le mie capacità a patto di riconoscerne la forza e l’indipendenza. Avrei chiaro che sta solo a me cercare di farne parte nel modo piu armonico possibile.
Avrei alzato la visiera e chiesto, possibilmente ad un altro motociclista, informazioni sul percorso ma allo stesso tempo scambiato idee sulla strada, sul tempo, su dove mangiare una buona bistecca, su dove fare rifornimento a buon mercato. Magari saremmo andati a bere una birra (piccola) insieme e avremmo scherzato tra noi.
Ma invece sono qua, chiuso da 4 sportelli e non vedo l’ora di mettere il cruise control - meglio se adattivo- e sentire una playlist di spotifiy che cerca la musica per me, secondo i miei gusti (che lui conosce cosi bene).
A questo punto sono invaso dalla nausea, ma adesso so dove puntare il navigatore quando riavrò la linea.
Saluti a tutti voi
Tancredi