VAJONT, 9 ottobre 1963
una storia ancora attuale
Ricostruzione grafica vajont
http://www.youtube.com/watch?v=h99ar2tB ... re=related
Il giorno dopo al disastro Dino Buzzati scriveva sul “Corriere della Sera”:
“Un sasso è caduto in un bicchiere, l’acqua è uscita sulla tovaglia. Tutto qua.
Solo che il sasso era grande come una montagna, il bicchiere alto centinaia di metri,
e giù sulla tovaglia, stavano migliaia di creature umane che non potevano difendersi.
E non è che si sia rotto il bicchiere; non si può dar della bestia a chi lo ha costruito
perché il bicchiere era fatto bene, a regola d’arte, testimonianza della tenacia e del
coraggio umani. La diga del Vajont era ed è un capolavoro. Anche dal punto di vista estetico.”
Il 9 ottobre del 1963 alle ore 22:39 la natura si ribella con una violenza che non ha pari
nella storia d'Europa degl'ultimi secoli, una antica frana preistorica di quasi 2,5 Km di
lunghezza si mette in movimento 600 metri sopra la diga del Vajont lungo il versante
del monte Toc e 260 milioni di metri cubi di roccia tutti insieme scendono nel lago
artificiale con una accellerazione che in pochi secondi e' passata da 60 cm a 100 Km/h.
Mezza montagna viene giu' portando con se boschi, case, fattorie,strade, bestie e uomini.
La frana precipita sul fondo del lago,sbatte contro la montagna di Casso, si arrampica
fin quasi alla cima e ricade su se stessa come un sandwich.
Dall'urto parte del monte di Casso siene inclinato di 40 gradi.
Le montagne della valle del Toc ,dopo la frana si troveranno 150 metri piu' in alto rispetto
all'inizio del disastro, per l'enorme spinta data della frana stessa che ha messo in
movimento forze di proporzioni incalcolabili.
Tutta l'acqua che era presente nel lago in un istante diventa un' unica onda di 50 milioni
di metri cubi, alta 250 metri che schizza fuori dal fondo valle ormai riempito dalla frana
e si trova piu' in alto del paese del paese di Casso.
L'onda tocca la scuola del paese rasando il secondo piano, lasciando vive le maestre che
dormivano al pian terreno e sorvola il paese rilasciando una pioggia di massi dal peso di
svariati quintali,supera il ciglio del monte e si divide in due parti.
Una meta' dell'onda risale la valle e punta su Erto che e' piu' basso di Casso,ma prende uno
spuntone di roccia che ne devia il percorso,cosi' l'onda alta 70 metri sorvola Erto senza far
danni per abbattersi e distruggere i paesi vicini come Cristo,Spessa, San Martino, Pineda
e altre case sparse.
L'altra meta' dell'onda e' piu' alta della diga e lascia dei segni profondi nella roccia dei
monti fin dove arriva. Quest'onda di 25 milioni di metri cubi e' alta 250 metri quando scavalca
la diga e punta come un proiettile Longarone a una velocita' di 100 KM/h. Uscendo dalla gola
del Toc con un rumore assordante indescrivibile,mai udito prima dall'uomo, questo lago in
corsa perde di slancio ma copre i quasi 2 Km della distanza in linea d'aria che separa Longarone
alla diga in meno di 1 minuto e venti secondi a circa 80 Km/h con un' altezza di 150 metri.
Prima che arrivi l'acqua, e' l'aria compressa dal pistone dell'onda a fare da apripista sulla valle
del Piave, un vento putrido, nauseabondo che appesta il respiro, che ha la forza di un fallout
nucleare pari a due bombe di Hiroshima capace di strapparti la pelle quando sei ancora vivo
e ridurti in polvere.
Pochi secondi dopo a finire il lavoro del vento arriva l'onda che viaggia a 70 Km/h prima dell'impatto
ed e' alta 70 metri e come un Niagara fa un salto nella valle del Piave lasciando un cratere di
30 metri di profondita' e disintegrando con tutto quel che trova ogni cosa, Longarone compresa.
L'onda risale controcorrente il Piave per oltre due Km abbattendo tutto cio' che trova. Una parte
dell'acqua prende la direzione dell'Adriatico e a Ponte delle Alpi e chilometri piu' a valle il Piave
dalle acque nere e putride ha una piena superiore ai 12 metri di altezza, portando con se carcasse
di auto, di animali e di esseri umani giu' fino al mare Adriatico.
L'onda che era risalita per 2,5 Km controcorrente, 15 minuti dopo refluisce appianando tutto.
Il giorno dopo e' un alba livida su Longarone che non esiste piu',al suo posto un campo lunare e 2000 morti.
Prendete una valle stretta da due montagne e riempitela per 200 metri in altezza e per 2 Km
in estensione di sedimenti,rocce e ghiaia. Avrete la vaga idea di cosa sia stata la frana del
Vajont. Pensate che per svuotare questa valle 100 camion da cava impiegherebbero 100 anni
lavorando ogni giorno. Prendete la popolazione montanara che vive pacifica in quella valle,
spogliatela di tutto senza chiedere alcun permesso. Cancellate ogni traccia di case,parenti,
amici e affetti, fino a trasformarli in terra bagnata dall'acqua della diga. Poi negate ai
sopravissuti anche la pur minima possibilita' di poter contare su una giustizia terrena onesta.
Questo e' quello che hanno vissuto a Longarone e nei paesi limitrofi.
Si perche' a loro nessuno e' venuto a chiedere il permesso di costruire una diga.
E la Sade nelle centinaia di udienze (oltre 170) che si susseguirono punto' sempre sulla
imprevedibilita' dell'evento franoso, esibendo un'arroganza senza pari.
Dei tanti responsabili citati in giudizio per disastro colposo solo due furono condannati a sei
anni anche se alla fine ne scontarono uno solo, l'ingegnere Biadene a capo della diga e Sensidoni
capo del servizio dighe al ministero, per inondazione aggravata dalla previsione dell'evento
compresa la frana e gli omicidi.
Pochi mesi prima del disastro a seguito della nazionalizzazione degli impianti idroelettrici,
impianti e personale passarono dalla S.A.D.E. al nuovo ente E.N.E.L.. Con ciò lo Stato Italiano
entrò a pieno titolo fra i responsabili della sciagura: non solo, come prima, per la compiacente
mancata sorveglianza; ma come responsabile diretto della catastrofe. Alcuni dei dirigenti si
suicidarono prima dell'inizio del processo per evitare la gogna.
Dopo 47 anni dal disastro, nulla e' ancora tornato al suo posto e non e' stata ancora messa la
parola fine a questo evento. Molti degli sfollati non hanno fatto piu' ritorno in quella valle.
Molti superstiti,non hanno mai ottenuto nessun risarcimento perche' non avevano alcun documento
per dimostrare qualcosa.
Dei svariati miliardi che dovevano arrivare alle comunita' montane per garantirre una ricostruzione
e un rilancio dell'economia per dare un lavoro e un futuro alle generazioni, solo una minima parte
e' arrivata a destinazione e in parte e' stata anche mal gestita. Il resto nessuno lo sa dove sia finito.
Io ci vado spesso al Vajont, perche' e' una gita per la famiglia, per chi va in moto visto che la strada
e' bellissima, per chi si arrampica o per chi va a camminare. La gente e' cordiale,si mangia bene
e dormire costa poco. La gente del posto ha voglia di raccontare la storia del Vajont e se glielo
chiedete preparatevi ad un tuffo nel passato, a quel 9 ottobre 1963. Basta fissarli negli occhi per capire
che per loro sembra ieri che quel monte e' venuto giu', ascoltate le loro parole quando vi dicono che c'e'
gente che ha perso in meno di 5 minuti 60 membri della propria famiglia, o che la madre l'hanno ritrovata
a oltre 30 Km di distanza. Molti non avevano nulla da mettere nella bara.
Poi cercate di capire cose' il rumore. Quel rumore indescrivibile della frana.
Lo spiega Mauro Corona quando cerca di descriverlo:
“ E' lo stesso fracasso che farebbero un miliardo di cacciabombardieri, passando, tutti insieme,
sopra il tetto di casa. Il rumore di 300 milioni di metri cubi, tanto è il materiale caduto quella notte nel lago.
E poi lo scuotimento del paese, il buio, le scene di panico della gente. Un'epoca era stata annientata
in pochi istanti. E che una nuova era costretta a nascere, da un parto così tragico, così apocalittico. “
All'alba l'intera vallata aveva cambiato per sempre il suo volto. Il numero delle vittime non e' mai
stato definitivo. Si sa' che accertate e riconosciute furono 2100 di cui 1450 nella sola Longarone
ma sono sicuramete di piu'. Ancora oggi il comune di Longarone ha cause aperte con l' Enel.
Si perche' la Diga e' ancora dell'Enel che la vorrebbe sfruttare idrogeologicamente e vorrebbe anche sfruttare
quell'immenso deposito di ghiaia caduto dal Toc. Il comune di Longarone si oppone allo sfruttamento perche'
sotto quella ghiaia ci sono ancora dei morti e vorrebbe dalla Comunita' Europea che tutta la zona del Vajont
diventasse patrimonio dell'umanita' per lasciare inalterata la zona e utilizzarla a finche' altre tragedie simili
non accadono piu'. E invece dopo il '63 ci furono altre tragedie annunciate come il Vajont, come Stava,
Seveso e Sarno e altre catastrofi assai poco naturali: dall'alluvione del 1966 alle morti per cancro del
Petrolchimico di Marghera. Nuovi Vajont si continuano a progettare impunemente in Italia e nel mondo,
dalla diga delle Tre Gole in Cina a quella di Itoiz in Spagna, a quella più vicina del Vanoi su versanti instabili
al confine tra Feltrino e Primiero.
E' un monito che la più grave delittuosa catastrofe italiana della seconda metà del Novecento continua
a lanciare, perché in realtà, le condizioni che la provocarono non sono poi molto cambiate.
Alla radice c'è sempre la stessa logica, quella dell'intreccio nefasto e incontrollato di potere economico
e politico, che ha portato all'assassinio del Piave, il fiume più artificializzato d'Europa, al saccheggio
della montagna, o alla costruzione di strade, autostrade e zone industriali sull'alveo dei fiumi.
Vi invito a visitare il Vajont, a vedere la diga che pur essendo stata sottoposta a carichi di forze superiori
di ben 7 volte rispetto a quelli per la quale era stata progettata ha resistito all'urto della frana ed oggi
e' ancora li al suo posto.
Poi vi invito a vedere il film di Renzo Martinelli e lo spettacolo, molto efficace, di Marco Paolini entrambi
dal titolo “Vajont”. Come spesso accade in Italia la chiarezza sulle responsabilità non è mai venuta
pienamente alla luce ed i responsabili non hanno mai completamente pagato per quello che hanno fatto
prima ed anche dopo.La gente del Vajont e' ancora li in attesa di risposte alle sue domande.
“ la diga del Vajont era la diga a doppio arco piu' alta del mondo per l'epoca,
durante la costruzione fu realizzato persino un documentario.”
"La frana del 4 novembre 1960."
"La diga dopo il 9 ottobre del '63."