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Il papà di Cairoli, Benedetto: “Lui mi ha dato tutta la sodd

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Il papà di Cairoli, Benedetto: “Lui mi ha dato tutta la sodd

Messaggioda jenk » 9 ott 2012, 23:18

Il papà di Cairoli, Benedetto: “Lui mi ha dato tutta la soddisfazione del mondo”
Questa volta ai microfoni di Moto.it non c’è il Tony nazionale ma suo padre, che ci ha raccontato retroscena e aneddoti del figlio sei volte iridato


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«Io in moto ero un disastro totale». Pensate che differenza, chi parla è il padre di quel talento che ha segnato pagine di storia del Motocross e che attualmente tutti ci invidiano. Come ammette Benedetto Cairoli, questa volta il detto “buon sangue non mente” nel caso della famiglia Cairoli evidentemente non rispetta la regola.

«La mia preferita era la Vespa, ne ho avuto di modelli diversi oltre ad altri ciclomotori, ma qualsiasi moto usassi ero un ricovero. Ricordo che un giorno incontrai uno che correva in moto, era con la 600 Abarth ed io con la Vesta GS, ci siamo sfidati e cercava di non farmi passare in curva ma l'ho stracciato. Dopodiché è venuto a casa offrendomi tutto per poter correre. Ma mio padre si oppose perché non voleva che andassi in moto, per cui mi dissi che appena avessi avuto un figlio maschio lo avrei messo subito in moto».

A quel tempo non pensavi però ad una moto da cross.
«No di certo, anche perché prima di Antonio sono venute tre femmine e solo dopo nove anni dall’ultima è arrivato lui. E ho mantenuto la promessa, a tre anni l'ho messo su di una minicross Italjet ».

Perché hai scelto una fuoristrada?
«Tony aveva un cugino che faceva Motocross, e quando lo sentiva passare correva da lui per vedere la sua moto. Quando non sapevamo dove trovare Antonio, bastava cercare nel garage del cugino. Ha sempre avuto questa passione, lo capivo anche quando guidava la bicicletta, si faceva da solo dei mucchi di terra con la pala e poi ci passava sopra anche se tenendola solo per mano. Poi ha iniziato a usare la sua Italjet, girava anche con la pioggia, gli mettevo il giubbotto, gli stivali di plastica, e via che andava. E quando era sulla moto cantava e parlava, una volta gli chiesi cosa dicesse mi disse che chiedeva agli avversari di spostarsi, si inventava le gare».

Davvero creativo per quell’età.
«La gente mi diceva che ero pazzo a far correre in moto il mio unico figlio maschio, ma io rispondevo che erano affari miei. Quando ero ragazzo, anche se facevo una gara tra amici, dovevo arrivare sempre primo, piuttosto morivo, ma davanti a me non doveva arrivare nessuno. Quindi ho iniziato a portarlo sulla sabbia, al mare, per provare anche quel terreno. Doveva fare esperienza in tutti i posti, nel fango, nella sabbia, così quando avrebbe iniziato a correre sarebbe già stato pronto per tutte le condizioni, così come è stato. Girava, girava, e girava, e così a sette anni quando ha fatto la prima corsa si è messo al cancellato e ha vinto subito. Ha continuato così fino che è diventato quello che è diventato».

Che gara era?
«Una gara regionale debuttanti con un cinquantino. Quando arrivava alle gare gli altri dicevano: “Cairoli c'è, che dobbiamo fare? Secondi si arriva…” Sempre così, finché mi sono stufato di stare in Sicilia, non li potevo più sentire. Anche perché un pilota deve combattere con quelli più forti, che gli cambia se batte quelli più scarsi?».

Immagino che tu non fossi un principe, e che quindi i sacrifici per portarlo in Continente siano stati tanti.
«Mio padre un contadino era. Io facevo l'autista di camion e quando Antonio aveva già una decina d’anni, mi sono messo per conto mio ma ho avuto dei malanni. Prima una malattia ad un occhio, vedo solo la luce e aspetto di fare l'operazione per mettere una cornea compatibile, poi le protesi alle gambe perché non avevo più le cartilagini per aver fatto il camionista trent'anni. In famiglia tutti facevamo sacrifici, ad iniziare dalla mamma Paola che badava dei bambini e lavorava in campagna, non si tirava mai indietro per cercare di mettere da parte un po’ di soldi per la famiglia».

Però tu in Tony ci credevi già allora, non è così?
«Sì, certo, e anche lei ci credeva».

Voi siete stati molti uniti, le tre sorelle, tu, Paola.
«Sì, sempre uniti. Io mia moglie l'ho conosciuta che aveva sette anni, andavamo a scuola insieme. Tutti ci sacrificavamo, partire dalla Sicilia e andare a fare 1500 chilometri non sono solo le spese, pure la fatica, andare, tornare, mio figlio dormiva in un furgone, non come adesso che è tutto più comodo».

Tony non aveva il magnifico camper che ha adesso!
«Ma che dici? Antonio era per così dire un disagiato. Andavano in giro con un Daily 38 che ci serviva per tutto. Albergo? Come ci andavamo in albergo? Mica avevamo i mezzi, ci portavamo la provola, formaggi, salsiccia, salame, pane fatto da noi. Che ancora lo facciamo, il pane. Per risparmiare. Partivi dalla Sicilia e andavi in Francia, non me ne parlare!».

Ma moto a parte, Antonio com'era da ragazzino?
«Non voleva sentirmi dire che era più forte degli altri, perché ha sempre rispettato gli altri, tutti gli altri. Anche adesso che è quello che è, lui rispetta tutti perché dice che combattono come lui».

Questo però gliel'ha trasmesso la famiglia.
«Certo, devi essere così. Io glielo dico sempre: Antonio, tu devi essere sempre umile. Non c'entra niente vincere cinque mondiali, sei mondiali, dieci mondiali. Con la gente devi restare sempre quello che sei e vedrai che la gente ti vuole bene. Invece se diventi uno arrogante non va bene, la gente giudica quello che sei».

Quando hai capito che lui ce l'avrebbe fatta a diventare un campione? C'è stato un momento che hai detto: per me qua ci siamo?
«Nel '97, quando siamo andati in Abruzzo per l'ultima gara del campionato italiano nella pista di Attilio Pignotti. La gente mi diceva: "che andate a fare che là sono tutti forti?" Invece ci siamo andati e la prima manche ha fatto secondo, per giunta con la ruota davanti forata. Teneva una Honda 80, che ancora ce l'ho a casa perché io tengo tutto di Antonio. Anche nell’altra terminò secondo, e fece perdere Giacomelli, che era uno che aveva tre o quattro moto, il meccanico personale, Puzar che gli faceva da manager. Mio figlio l'ha passato e gli ha fatto perdere il campionato, vinto da Lombrici».

Perché dici che è lì che hai capito che poteva diventare un campione?
«Veramente l'ho capito nel periodo in cui in Sicilia c'era un ragazzo che era nel Team Italia, Vincenzo Lombardo, quando si correva sulla sabbia non ce n'era per nessuno. Antonio aveva 12 anni, siamo andati a correre a Palermo dove era scontato che vinceva Lombardo, anche perché lui aveva un bel po’ di esperienza in più considerato che aveva 18 anni. Invece Lombardo è partito primo, Antonio l'ha passato poi è caduto, si è alzato, lo è andato a prendere e l'ha passato di nuovo. Quello è stato l’episodio che mi ha fatto capire il suo potenziale. Da quel momento sulla sabbia non aveva avversari, e per farlo allenare in spiaggia ogni anno chiedevo il permesso al demanio di Palermo per il periodo non estivo così non c’erano i turisti».

Poi ha continuato a crescere finché un giorno è arrivata una telefonata dal Nord.
«Giunta lo ha voluto in squadra e ha vinto il campionato cadetti 125, poi siamo andati con Martin con cui ha fatto una gara del mondiale, ma la moto non andava, l'ho visto io quando eravamo a Montevarchi che in salitalo superavano tutti, poi Tony li passava di nuovo in discesa. Vinse comunque il campionato junior, e nonostante si fosse qualificato in Russia per il mondiale Martin l’anno dopo voleva fargli fare il regionale 125… E io gli dissi di no, ma quale regionale? E così siamo entrati in contatto con De Carli».

L'hai chiamato tu?
«No, Claudio aveva già visto Antonio tante volte senza farsi notare, così l'ha fatto diventare il terzo pilota a fianco di Claudio Federici e Manuel Monni. Quando cominciò a girare con loro, De Carli ogni sera mi chiamava, gli chiedevo come andava e mi diceva: scende due secondi al giorno! Finché un giorno mi telefonò con queste parole: Benedetto, Antonio va più forte di Federici. E così nel 2004 iniziò la sua avventura nel Mondiale, e arrivò terzo».

Con De Carli il rapporto va avanti da tanti anni, non è facile trovare un connubio così forte.
«Con Claudio è come stare in famiglia, lo vorrebbe a mangiare a casa sua tutti i giorni».

Praticamente Tony ha lasciato la famiglia Cairoli per andare nella famiglia De Carli.
«Sì, Antonio lo rispetta molto, e se un giorno dovesse cambiare marca penso che si porterebbe con lui anche Claudio».

Una giornata con Tony


Come pilota lo conosciamo, ma come figlio quali sono i pregi e i difetti?
«E' un figlio esemplare. Mi chiama sempre per sapere se ho bisogno di qualsiasi cosa, che siano soldi o altre cose».

Ma un difetto ce l'avrà, 'sto figlio.
«Che devo dire? E' un tipo taciturno, non parla molto, sta sempre sulle sue. E' stato sempre così, anche quando era ragazzino».

Anche tu sei un padre esemplare, tra l’altro mi sa che non ti sei perso molte delle sue gare.
«Non vorrei mai mancare, ma ho tanta terra in Sicilia, non la posso abbandonare. Ho tre ettari di terra. In più Antonio si è comprato una casa, abbiamo ristrutturato i magazzini, ci devo badare io, non è che c'è qualcun altro».

Non hai mai paura alle gare?
«Prima sì, ma ora so che lui è già saggio e deve stare sempre calmo, mai strafare. Avevo paura i primi tempi, magari era lontano e io non lo vedevo ogni sera. Ero sempre in ansia».

Ma quanto orgoglioso sei di lui?
«Lui tutto mi ha dato, tutta la soddisfazione del mondo. Quello che ho fatto io è poco in confronto. Mi spiace solo che non c'è più mia moglie, perché anche lei era contenta».

Però Antonio a Faenza ha sentito che lei era presnete nella giornata del suo sesto trionfo.
«Eh sì, purtroppo la vita è così».

Ha anche una bella e brava ragazza al suo fianco, Jill. Pensi che gli sia stata utile?
«Sì, è molto brava, è una ragazza a posto, si vogliono bene, e con lei si è un po' calmato…».



Il momento più brutto della carriera di Tony?
«Preferisco non parlarne, dico solo che gli avversari debbono essere sempre sportivi e non dargli contro. Bisogna essere leali, perché se mio figlio dà contro a qualcuno, sono io il primo a dirgli che ha sbagliato. Se sei più forte passi avanti, se no resti dietro, niente scorrettezze agli altri, sennò che sport è?».

Giustissimo. Dei sei titoli che ha vinto ce n'è uno più bello degli altri?
«Diciamo che la prima volta è sempre la prima volta. Gli altri sono stati dei bei momenti, ma l'anno scorso ha vinto che mia moglie era già grave, mentre quest’anno era scomparsa, e non si riesce a festeggiare allo stesso modo».

Gli dai ancora dei consigli, anche se ha 27 anni?
«Sempre. Gli dico che si deve comportare bene sia nello sport che nella vita, e mai offendere la gente più grande di lui anche se hanno torto. E lui si comporta sempre bene, non solo nello sport ma anche nella vita».

Come vedi il suo futuro di pilota?
«Per me lui è un fuoriclasse, non c'è storia».

Ma nel futuro cosa potrà fare?
«Io spero che vinca altri cinque mondiali».

Tony Cairoli al Motocross delle Nazioni 2012


Cosa ti piacerebbe che facesse invece quando smette di fare il pilota?
«Fare un team per portare i ragazzi a fare sport. Queste cose, nient'altro. E poi lui lo sa cosa deve fare, senza bisogno che glielo dica io».

Pensi che un giorno ritornerà a vivere dove è nato?
«No, no, che deve fare a Patti? Il nostro è un piccolo paese e c'è troppa invidia. E lui non se lo merita, perché è amico con tutti».

Pensavo che nel tuo paese fosse considerato una sorte di eroe, da come dici mi sa invece che sia il contrario…
«Beh, però c'è anche gente che magari non lo dimostra però ci tiene. Ma anche quando ha vinto il sesto titolo il Comune avrebbe potuto fare qualche cosa, e invece non ha fatto niente nessuno».

Tu hai mai pensato di trasferirti?
«No, io abito dove sono nato. Mi piace andare via dieci, quindici giorni, ma solo perché c’è mio figlio, sennò cosa dovrei girare a fare? Io vengo per lui, faccio qualsiasi cosa per lui. All'ultima gara dell'anno scorso mia moglie era quasi morta e ha detto alle mie figlie: dovete fare il biglietto a vostro padre che deve andare da Antonio. Io non volevo andare perché lei stava male. Ma lei mi detto: vai perché lui è solo. Lei pensava di più a lui e non alla sua malattia, vedi che donna era?».

Un sogno nel cassetto?
«Si è già realizzato, che vincesse contro gli americani a Lommel. Loro lo sottovalutano, in un'intervista hanno chiesto: chi è Cairoli? E così lui gli ha fatto vedere chi è Antonio Cairoli…».

fonte moto.it
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