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Intervista esclusiva - Mitch Payton

MessaggioInviato: 30 apr 2012, 23:00
da jenk
Il boss della Pro Circuit svela i suoi due obiettivi: vincere il Supercross e il Mondiale MX

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Era la fine degli anni Ottanta. A Paris-Bercy era tutto pronto per il Supercross. Il pubblico iniziava a mettersi in coda ai botteghini: arrivavano i piloti dall'America, la gente era in fregola. E poi, e poi Bercy era anche l'occasione per vedere i modelli dell'anno dopo. Già, i giapponesi le nuove moto le portavano lì, luccicante vetrina per il mercato europeo. Le porte si aprirono e lo tsunami di piloti si riversò in pista, il megaschermo proiettava le foto di ogni moto, Honda, Kawasaki… ma un tratto i nostri occhi si fermarono su qualcosa di totalmente alieno. Era un nuovo produttore? La moto era perfetta, i dettagli curati come sulle giapponesi, un sacco di pezzi lucidati e anodizzati. Fantastica. Sì, assomigliava a una jap, ma era senza marchio. Però solo a guardarla, così lucida e rifinita, dava i brividi. Era un'azienda agli esordi? Da dove veniva? Ma soprattutto, dove potevamo comprarla? Non avevamo mai visto niente di simile, tantomeno ne avevamo sentito parlare. L'unica cosa che poteva somigliare a un marchio era la scritta "Pro Circuit". Prima dell'era di Internet, le novità ti arrivavano così: un quintale di plastica e acciaio in faccia. Non una foto su un sito qualsiasi. E noi eravamo così allibiti che non sapevamo cosa fare, a parte chiedere informazioni su questo nuovo marchio. Ora finalmente posso chiedere tutto al "grande vecchio" del tuning, Mitch Payton: ma la cosa ha richiesto tempo. Più o meno tre decenni!

Cominciamo dall'inizio: come sei approdato nel Motocross?
"I miei genitori introdussero me e mio fratello James Jr. nel mondo del Motocross abbastanza presto. Cominciai a 10 anni con qualche gara di Enduro e poi arrivai a fare l'Ama District 37 (gara nel deserto organizzata dall'omonimo promoter). Nel 1977, a 17 anni, vinsi una gara nel deserto nella classe 125. Sfortunatamente l'anno successivo mi ruppi la spina dorsale".

Come è successo?
"All'epoca avevo vinto il Parker 400, la Baja 500 e portavo la tabella numero 1 della classe 125 cc. Stavo scendendo da una discesa ripida. In fondo una brusca svolta a destra, la ruota dietro saltò scagliandomi dritto in un crepaccio. Mi sono rotto due vertebre. L'unità di soccorso seguiva la gara, ma per fortuna la chiamata d'emergenza fu raccolta da alcuni aerei militari che stavano facendo delle esercitazioni nella zona. A quest'ora avrei potuto essere ancora là, e invece, anziché in ambulanza o su un furgone, mi portarono in ospedale in elicottero. Fu una fortuna".

Quando e come è cominciata la tua attività?
"Mi sono fatto male in settembre e appena uscito dall'ospedale l'unica cosa a cui volevo dedicarmi erano le moto da Cross. Non sapendo bene cosa fare, pensai a una concessionaria. All'inizio qualcosa di piccolo, solo Yamaha e Husqvarna. In fondo guidavo una Husky e mi piaceva, quindi ho optato per questa soluzione".

Quanto ti ha insegnato tuo padre del tuning?
"Mio padre era un bravo meccanico, sveglio e intelligente. Da lui ho imparato l'arte delle lavorazioni precise e a trasformare le idee in prodotti concreti. Mi ero sempre chiesto perché le mie Husky non fossero veloci come le giapponesi, in fondo avevano la stessa cilindrata. Così iniziai a studiare il 2T: volevo imparare a lavorare i travasi, cambiare i pistoni, accordare lo scarico. Le espansioni sono la magia nera dei motori a due tempi. Puoi leggere libri, applicare formule, ma solo l'esperienza ti permette di fare un grande scarico e, con quello, una moto vincente. All'epoca si vendevano molti scarichi peggiori di quelli di serie. Fu Paul Turner di Honda USA a farmi appassionare al tema. Io gli facevo proposte e disegni, lui realizzava le espansioni per la Honda più due o tre alla settimana per me. E quando siamo usciti a testarle, ho iniziato a imparare sul serio. Abbiamo provato a cambiare gli angoli, a fare i tubi più lunghi o più corti, a cambiare i volumi. Continuavo a prendere appunti mentre ci facevamo un'idea di cosa funzionava e cosa no. Era proprio come la magia nera".

Io ho visto la vostra "magia" per la prima volta a Paris-Bercy!
"Il 1986 fu il primo anno delle nuove normative antinquinamento sulle moto di produzione negli Stati Uniti. Così siamo andati a Bercy per aiutare Ricky Johnson, Jean Michel Bayle, Jeff Stanton e David Bailey che in quell'occasione non potevano usare le moto factory, ma delle moto standard. Il nostro compito fu quello di riuscire a farli andare forte anche in quella condizione. Ci siamo riusciti! Abbiamo anche portato lì il nostro 125 per testarlo e vedere se eravamo competitivi per le gare degli Stati Uniti".

Hai anche corso con le auto negli anni Novanta. I tuoi highlights?
"Da quando ero sulla sedia a rotelle, tutto quello che volevo fare era dedicarmi sette giorni su sette alla mia attività. Andavo a tutte le gare e mi piaceva, finché nel 1988 un mio amico mi invitò ad andare in vacanza con lui per fare qualcosa di figo. Finimmo in una scuola di pilotaggio per auto da corsa. La cosa mi caricò al massimo: mi comprai una Honda, ci misi dei comandi al volante e andai a correre nella SCCA. Vinsi il titolo regionale nella mia classe e salii in quella "pro", vincendo altre tre gare. Ma mi stavo allontanando dal mio team Pro Race Circuit. Per fare dieci gare dovevo stare lontano da casa cinquanta giorni, troppi. Così, per quanto doloroso, ho preferito farla finita con le auto da corsa".

Quando hai deciso di diventare proprietario di un team?
"Stavamo vendendo bene i nostri prodotti e rendevamo i piloti sempre più veloci. Ma sentivo che potevamo fare di più e meglio con una gestione più rigorosa e incanalando le risorse nella giusta direzione. Insomma, dovevamo diventare una squadra vera, una squadra che vinceva le gare!".

Qual è l'idea dietro al nome?
"Avevamo degli scarichi davvero belli e avevamo intenzione di venderli, ma non potevamo farlo sotto il nome della nostra concessionaria "Anaheim Husqvarna". Così, io, mia mamma e Jody Weissel della MXA ci siamo seduti a sparare più nomi possibili. Era il 1980 e uno di questi fu Pro Circuit".

A quante vittorie sei arrivato?
"Beh è un numero davvero incredibile, qualcosa come 220-230!".

C'è sempre il rito della pizza?
"Certo: se vinciamo nel week-end compro la pizza per l'intero negozio. Ho iniziato a farlo circa dieci anni fa, è un modo per festeggiare. Se spendo tanti soldi in pizza sono felice, perché vuol dire che vinciamo molto".

Una delle regole nel tuo team è il gioco di squadra?
"Immagino che all'ultima gara, con un paio di punti di distacco, avrebbe senso un po' di gioco di squadra. Ma ho visto squadre cominciare a 5/6 gare dalla fine. E poi, come lo fai? Lo scorso anno abbiamo avuto tre piloti con la tabella rossa, dovevo dire 'Hey, ho deciso che Blake vince il campionato. Voialtri dategli strada!' Ma che diavolo di gara sarebbe? La mia unica regola è che bisogna essere corretti con il compagno di squadra. E non voglio casini con le moto: devi andare abbastanza veloce da passare la gente senza prenderla a botte. È la scuola migliore."

Perché hai deciso di prendere con te Adam Cianciarulo?
"Lui è davvero bravo. Per la sua età è molto maturo, ci sa fare coi media ed è educato. Speriamo possa diventare un campione e un modello di stile, perché ha qualità che gli altri non hanno. È veloce e vincente: puoi essere il ragazzo più carino del mondo, ma se non vinci io non ti assumo (ride)".

Quanta influenza hai sul team Pro Circuit del Mondiale Motocross?
"Nella selezione dei piloti non molta, ma entro in gioco quando si parla di tecnica. CLS era già una squadra Kawasaki, non so chi gli facesse sospensioni e motori ma loro volevano una moto migliore e risultati migliori, così siamo arrivati noi. E noi, d'altra parte, stavamo cercando un partner di cui poterci fidare. Uno che non avrebbe venduto il nostro materiale al miglior offerente: lo abbiamo trovato con Harry Nolte. Solo se stai cercando di vincere sai che alcune cose della moto non le puoi vendere".

Non sceglierai i piloti pro, però li fai diventare tali...
"Sì, sosteniamo i dilettanti e abbiamo un camion apposta per essere presenti alle loro gare. Entriamo in contatto con i ragazzi più veloci, così quando sono pronti a passare alla fase successiva della loro carriera noi siamo già lì".

Cosa ti piacerebbe fare sapere ai nostri lettori della telenovela del passaggio del Team 450 Kawasaki a FMF?
"Cosa voglio far sapere? Che ero depresso! (ride). È stata una sorpresa per me e credo non sia stato gestito in modo molto professionale. In un rapporto lungo come il nostro con Kawasaki ci sono sempre alti e bassi, le cose non sono sempre perfette. Ci sono stati dei momenti in cui non mi ero sentito trattato in modo corretto, ma ci sono passato sopra. Non credo ci fosse nulla di troppo grosso da non poterlo risolvere, in ogni caso lo abbiamo saputo quando ormai era stato fatto tutto. È brutto, perché abbiamo investito tanto su Ryan Villopoto e Jake Weimer e non è bello vedere i tuoi piloti far pubblicità al tuo principale rivale. L'ho trovato solo di cattivo gusto, ma ormai per me è acqua passata".

È vero che Kawasaki non vuole che tu porti in gara una 450?
"Probabilmente è vero. Si sentono come se fossimo in competizione. La mia tesi è che se affiancassimo alla Lites un paio di 450 sarebbe bello: se abbiamo buoni piloti che escono dalla Lites dobbiamo poter offrire loro dei team B o C in 450, perché i team A sono troppo pochi. Questo è il motivo per cui nella 450 ci sono le griglie vuote. Colpa nostra."

Sei una delle persone più autorevoli in questo sport e in molti ti stavano alla larga quando ti arrabbiavi… Ora ti arrabbi di meno?
"Mi arrabbio ancora, ma lo dò meno a vedere. Se mi metti all'angolo io combatto, ma adesso se devo dare una lavata di testa a un ragazzo cerco almeno di finire con qualche nota positiva. Cerco di motivare la gente, e pare funzioni".

La volta che ti sei davvero incazzato?
"L'ultima volta che ho perso le staffe in gara penso sia stato con Tony Alessi (il padre di Mike e Jeff) che, sinceramente, se l'è cercata tutta. Mi ha mandato a quel paese due volte da lontano, e lo ha rifatto quando mi sono avvicinato. Allora gli ho detto: 'Se devi dirmi qualcosa, dimmelo in faccia, stronzo'. Ed è partita una grossa discussione, sono uscite vecchie ruggini. Avrei dovuto lasciar perdere, ma non potevo farmi trattare così".

Quale dei tuoi vecchi piloti ricordi con più nostalgia?
"Me lo chiedono sempre, ed è una domanda difficile. Prima o poi tutti ti rubano il cuore. Pensi al primo anno e ti vengono in mente McGrath, Swink, Buehl e molti altri. Lamson non era un buon pilota nel SX, ma ha comunque fatto un secondo. Dobb ha vinto un National, Ryno guidava in modo folle, ma non ha mai vinto un campionato e poi Pichon, che era così fresco, esaltante. Mi ricordo di una volta che ero in Francia a guardarlo correre nel Mondiale e vinse entrambe le manche. Mi sono detto: questo diventa un grande! Era proprio forte, mi piaceva. Poi arriviamo all'era di Ricky Carmichael, con cui ancora oggi sono molto amico. Brown e Ramsey hanno lasciato un segno. Con Tedesco, Pourcel e Langston siamo andati nell'era del 4T. E poi Villopoto. RV2 è quasi un clone di Ricky: li abbiamo entrambi portati dalla classe 85 fino alla roba seria".

Broc Tickle: il suo debutto nella 450?
"Non sono contento. Non mi aspetto che vinca, ma pretendo buone partenze e qualcosa tra un quinto e un decimo posto. Finora ha fatto un ottavo ed era entusiasta, e lo ero anch'io. Ma, se avesse guidato un po'meglio, avrebbe potuto essere un sesto. Se ti accontenti di un 14mo posto, il tuo pilota finirà 14mo. Devi sempre dare il massimo se vuoi trovare una moto per la stagione successiva. Il Supercross americano è lo sport delle opportunità, e quelle se le crea solo il pilota".

Tyla Rattray: molti pensano che potrebbe essere un grande della 450.
"Si è appena fatto male, ma è stato fortunato. La 450 SX è una cosa difficile, ma Tyla è di belle speranze, vedremo".

Hai provato a prendere Ken Roczen nella tua squadra?
"Sì, ci ho provato e c'è stata una possibilità, che però non si è concretizzata. Quello che l'ha veramente convinto a passare in KTM è stato Roger DeCoster, visto che si conoscevano dai tempi della Suzuki. E poi il fattore economico: KTM, oggi, ha un potere in questo senso superiore a chiunque altro".

Quale pilota vorresti avere nella tua squadra in futuro?
" Ho una lista, ma non te la posso leggere! (ride)".

Due parole su Pourcel?
"Ha un talento pazzesco. È stato grande con me, e mi ha portato dei risultati. Quando il suo motore si è rotto a Southwick mi sono preso la responsabilità. Succede, le cose si rompono! Ma lui è sempre il 'Signor Non C'è Problema'. Poi a Unadilla è caduto e ha battuto forte la testa. A Pala avevamo ancora un sacco di punti di vantaggio, ma lui è caduto di nuovo… senza rialzarsi. Se non è sfortuna questa! Pensava che Kawasaki gli desse una chance l'anno successivo, ma non è successo e lui è tornato in Europa. Penso che il mondiale Cross quest'anno sarà grandioso: ci sono almeno 7/8 piloti in grado di vincere una manche. E Christophe potrebbe puntare al titolo. Se succedesse, potrebbe di nuovo decidere di tornare negli States".

Il tuo successo: che cosa fai meglio di altri team manager?
"Ho fortuna... e la capacità di mettere tutto insieme. Scompongo la moto e prendo il miglior specialista per ciascuna parte. Ho grandi piloti e li so seguire e motivare".

Per quanto tempo durerà l'accordo con Monster Energy?
"Per tutta la vita! Almeno, questo è ciò che io spero".

E quanto ancora il contratto con Kawasaki?
"Spero per sempre, per ora abbiamo stipulato un contratto della durata di tre anni. Farlo per meno non avrebbe senso: non voglio passare il mio tempo a cercare sponsor, preferisco trattare bene quelli che ho".

Lavori ancora sulle moto?
"Sì, lo faccio e mi piace. Quando preparo una testa sono in paradiso, niente distrazioni, niente confusione. Tutto il lavoro di sviluppo su questa parte del motore lo faccio io e nessun altro".

Qual è la parte più difficile della moto da fare meglio?
"Nel motore il profilo delle camme. In assoluto, le sospensioni. Queste sono un bersaglio mobile. Se il pilota ti dice che sono morbide le irrigidisci, però poi diventano dure e non copiano più i piccoli dossi. Allora le molli un po', ma così vanno a fondo corsa sui salti. E quando le hai settate alla perfezione, il pilota va più forte e il limite è di nuovo spostato. Così ti trovi a rincorrere la soluzione all'infinito. Ma anche questo fa parte del nostro lavoro".

In molti vedono Pro Circuit come un team, ma rifornite chiunque voglia un vostro prodotto. Quanto ci guadagnate?
"Meno che nell'era del 2T. C'è più concorrenza e altri pagano le squadre per montare i loro prodotti, noi no. Anche a Chad Reed, quando è venuto da noi, abbiamo detto che lo avremmo aiutato con gli scarichi, ma il resto lo doveva pagare. Ha accettato".

Lavoreresti per un pilota capace di battere uno dei tuoi?
"Abbiamo sempre avuto collaborazioni con i team factory. I miei ragazzi mi chiedono perché li sosteniamo quando poi nel fine settimana corriamo contro di loro. La mia risposta è sempre che noi prepariamo le migliori Kawasaki e le migliori Honda. Punto".

Sei conosciuto per le tue storie divertenti e pazze. Raccontane una!
"Ce ne sono così tante che nemmeno le ricordo. Una volta in aereo Troy Lee si era nascosto nella cappelliera, è stato divertente vedere l'espressione quando la hostess l'ha aperta. Un'altra volta siamo finiti in cella tutti e due per una notte: eravamo all'apertura di un ristorante, e birra dopo birra abbiamo fatto tardi. Quando siamo usciti dal locale abbiamo visto che avevano steso dell'erba in zolle davanti all'ingresso e abbiamo deciso di caricarla sul mio van. La sorella di Troy si era appena sposata e la sua casetta aveva un piccolo terreno brullo: pensavamo di farle una sorpresa, ma gli agenti non la presero molto bene! Eravamo solo due idioti di 20 anni".

Quali sono i progetti futuri per Pro Circuit?
"Negli USA sempre gli stessi: continuare la Lites e sviluppare il 450, con l'obiettivo di arrivare a vincere anche lì. Nel Mondiale c'è l'ostacolo KTM: sono fortissimi e difficili da battere, ma vogliamo almeno provarci".

Quante corse ancora per Mitch?
"Non so, Roger ha 66 anni o giù di lì, quindi potrei andare avanti forse altri 5 o 10 anni. Ma ho due gemelli di tre anni, e dipenderà da che strada prenderanno: se decideranno di fare sul serio col calcio, il baseball o qualunque altra cosa, voglio esserci. L'importante è che mi diverta, altrimenti divento pesantissimo".

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fonte xoffroad.it